Alessandro Orsini, saggista, docente e studioso dei fenomeni terroristici, è ormai al centro dell’attenzione mediatica da diversi mesi, più nello specifico dal 24 febbraio 2022.
Le ragioni della sua fama sono primariamente connesse alla sua presa di posizione nei confronti del conflitto tra Ucraina e Russia. Il suo punto di vista relativamente alle responsabilità della guerra, si è rivelato infatti essere fuori dal coro, in quanto dichiaratamente simpatizzante filo-russo, polarizzando di fatto ulteriormente l’opinione pubblica, ed è per tale ragione al centro della bufera ed oggetto di numerose critiche.
Nonostante ciò, il tono sicuro e la chiarezza espositiva che caratterizzano le sue esposizioni e soprattutto il suo encomiabile curriculum, fanno sì che alla sua tesi sia allo stesso modo attribuita da alcuni una certa autorità.
Tuttavia, anche questa stima e questa credibilità talvolta vengono messe in discussione da asserzioni non troppo giudiziose e ragionate, proprio com’è accaduto in quest’ultima occasione.
Più nello specifico, questa volta il noto professore di sociologia del terrorismo nella giornata del 19 dicembre, si è espresso in merito al Memorandum di Budapest del 1994, pubblicando un video su YouTube in cui appunto esplicava meticolosamente la posizione della Russia, chiarendo se appunto quest’ultima avesse violato o meno gli accordi stabiliti.
Un filmato della durata di 14.19 in cui viene attentamente sollevata la questione sopraccitata e viene inoltre effettuato un confronto tra le due tipologie opposte di menti che si approcciano al dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina.
Per dare maggiore supporto alla sua tesi, il saggista cita all’interno del suo video (che era stato diffuso poi anche sui social), un articolo del New York Times, di un tale “William J.Ampio”, e per far leva del fatto che si trattasse di un pezzo internazionale, effettua nel minuto 1.15, addirittura uno spelling del presunto cognome del giornalista in questione, e dunque: “A-M-P-I-O”, senza accorgersi che nella realtà dei fatti non esiste alcun tipo di giornalista con questo nome ma, quasi con assoluta certezza, dev’essersi trattato secondo quanto accusano numerosi osservatori online, di una svista di un errore del traduttore automatico.
Molti ritengono infatti che Orsini, abbia probabilmente usufruito di Google Translate per l’interpretazione dell’articolo, ma che quest’ultimo abbia anche tradotto il cognome del giornalista, che in realtà era appunto “Broad”.
La gaffe ha fatto rapidamente il giro dei social, ed Orsini per l’ennesima volta si è ritrovato nel fulcro della bufera, percependo questa ennesima svista come un nuovo strumento per mettere in discussione le sue conoscenze e le sue competenze.
Ma Orsini non demorde. Il docente ha infatti già replicato alle accuse attraverso un nuovo filmato.
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