Nella carrellata di ricerche e studi medici che attribuiscono a diversi alimenti e bevande proprietà più o meno benefiche, ve n’è una che farà certamente piacere a tantissimi italiani (e non solo).
Una recente ricerca condotta da un team milanese e pubblicata su ACS Chemical Neuroscience ha fatti dimostrato un nuovo possibile effetto benefico di qualcosa che è particolarmente amato nel Belpaese e che, magari, potrebbe incentivare anche il suo consumo.
Naturalmente, come avviene per ogni cosa, anche in questo caso sarebbe opportuno non approfittarne: scopriamo allora di che si tratta e che cosa è stato scoperto!
Ma che cosa ha incluso questa ricerca? Quali sono le conseguenze di questo studio?
L’osservazione scientifica afferma che le sostanze chimiche che sono estratte dal luppolo, ingrediente della tanto amata birra, sarebbero in grado di inibire l’aggregazione delle proteine beta amiloidi, associate a loro volta al morbo di Alzheimer.
Secondo gli esperti, la birra – se particolarmente luppolata – potrebbe dunque avere l’invidiabile effetto di produrre benefici per la salute del cervello.
Da diverso tempo era peraltro noto che i fiori di luppolo, usati per aromatizzare le birre, erano dei potenziali nutraceutici, suggerendo così che la pianta da cui sono ottenuti potrebbe interferire con l’accumulo delle proteine associate alla sindrome.
Dunque, i ricercatori hanno voluto saperne di più, domandandosi quali composti chimici nel luppolo producessero tali effetti. I ricercatori hanno pertanto creato estratti da quattro varietà comuni di luppolo e, grazie ai test effettuati, si sono resi conto che gli estratti avevano proprietà antiossidanti e potevano impedire alle proteine beta amiloide di aggregarsi nelle cellule nervose umane.
In maniera ancora più specifica, i ricercatori hanno scoperto che l’estratto di maggiore successo è quello che si trovano nel luppolo Tettnang, usato per molti tipi di lager e birre leggere.
I ricercatori hanno poi concluso che sebbene questo lavoro non giustifichi certo il consumo di birre più amare, può essere utile come base per nuovi studi che possano contrastare in modo più efficace lo sviluppo dell’Alzheimer.
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