Nel corso del tempo le Iene, programma televisivo ormai in onda da ben 26 edizioni (dal 1997), ha dato sempre più spazio a servizi di denuncia, che talvolta tendono a sfociare in vere e proprie inchieste giudiziarie.
Infatti, laddove troppo spesso giustizia e Stato presentano lacune non irrilevanti e non si configurano in quanto tali, il programma televisivo si propone di offrire un tentativo di rimedio, al fine di denunciare e divulgare pubblicamente prepotenti e disservizi.
Una scelta che comporta un ponderoso impatto sulla cultura politica dello Stato.
A tal proposito, bisognerebbe prestare estrema attenzione all’utilizzo che si fa del mezzo tv e ai messaggi che si lasciano passare.
La linea tra un servizio televisivo ed un processo si rivela infatti davvero sottile, e dunque spesso si corre il rischio di un’invasione di campo dannosa con drammatiche conseguenze.
Ne è una dimostrazione lampante, quello che è accaduto in questi giorni.
Il suicidio di un uomo dopo il servizio di Matteo Viviani e Marco Furbini
È stata raccontata la triste storia di catfishing con un catastrofico epilogo, che ha coinvolto il 24enne Daniele ed il 64enne Roberto.
Tante volte, alle spalle di questi inganni via web, si celano persone con disturbi della personalità che, a causa di una serie di concause, faticano a far fuoriuscire la propria indole nella vita reale ed intravedono nel web una seconda opportunità per costruirsi un’identità tanto bramata.
Nel caso in questione, Daniele era stato adescato dalla falsa identità ideata dal 64enne, che corrispondeva a quella di un’attraente ragazza di nome Irene Martini.
Una relazione virtuale della durata di circa un anno, conclusasi a settembre dello scorso anno con il suicidio del ragazzo.
Un tragico gesto, preceduto da una serie di allarmi manifestati nella conversazione con la fittizia persona di cui si era innamorato, a causa primariamente delle pressioni emotive alle quali Roberto (sotto la falsa identità di Irene), sottoponeva Daniele (il quale tuttavia, aveva comunque confessato al fake di soffrire di una pregressa depressione). Inoltre la vittima, circa cinque mesi prima del drammatico accaduto, aveva realizzato si trattasse di un raggiro, ma non era riuscito ugualmente a svincolarsi dal legame instaurato con quella persona, e ciò lo aveva condotto ad un’ulteriore sofferenza.
La Procura, dopo il suicidio del giovane, aveva indagato sul caso, ed attribuito all’uomo un decreto di condanna per sostituzione di persona (una multa di 850 euro), archiviando tuttavia l’accusa di morte come conseguenza di altro reato.
A tal punto, i genitori del ragazzo, comprensibilmente insoddisfatti della condotta troppo clemente nei confronti della scomparsa del figlio (ed in nome del fatto che in seguito alla morte di Daniele i carabinieri avevano scoperto che l’uomo portava avanti il suo gioco sporco con altre persone), si rivolgono ai piani alti, facendo proprio giungere una lettera sulla scrivania di Palazzo Chigi, alla nuova premier Giorgia Meloni.
In ultima istanza, decidono di coinvolgere la televisione, rivolgendosi alle Iene, al fine di influenzare la scelta della magistratura. Una strada, al giorno d’oggi, intrapresa purtroppo da molti in uno Stato di diritto non profilato come tale. E talvolta, non solo i giornalisti indagano (come è loro compito e diritto fare) ma schierandosi, emettono seduta stante sentenze letali in numerose occasioni.
Nell’agguato in questione su Zaccaria, le Iene si erano recate nel piccolo paesino di Forlimpopoli, spettacolarizzando enormemente la tragedia nella circostanza meno opportuna, attraverso un crudo linciaggio (un modello sempreverde nella ricerca dell’audience).
Roberto, stava infatti spingendo sua madre anziana in sedia a rotelle per le strade del paese in pieno giorno, quando viene assalito da telecamere e toni forzati, che spiattellavano dettagli sessualmente espliciti ed intimi inutili ai fini alla ricostruzione dell’indagine in sé, ma volti piuttosto ad alimentare uno scriteriato sciacallaggio sulla sensibilità di una persona palesemente non instabile a livello mentale.
Questa presunta smoking gun, in un paesino di 13.000 abitanti, equivaleva ad una prevedibile messa al bando dell’uomo, tant’è che quest’ultimo, ai fini di tutelarsi, aveva anche presentato una diffida alla redazione (non presa in considerazione) affinché non venissero mandate in onda le immagini.
Infatti dopo il servizio è stato sottoposto a continue minacce opprimenti.
Intimidazioni che si sono immediatamente trasformate in un’esecuzione sommaria.
Roberto, solo 5 giorni dopo la messa in onda, è stato trovato morto dalla madre e, secondo fonti inquirenti, i dubbi sul presunto suicidio, sono davvero pochi. La famiglia sostiene infatti che ad indurre l’uomo al tragico gesto, sia stata proprio la gogna mediatica successiva al servizio; pretesto per il quale hanno intenzione di sporgere querela al noto programma televisivo.