Quasi a tutti, almeno una volta nella vita, è capitato di lasciare una t-shirt, un paio di scarpe, una sciarpa o un qualsiasi altro indumento ormai inutilizzato in uno di quei cassonetti gialli di raccolta per abiti usati diffusi nelle città. Ma siamo sempre certi della fine che fanno questi capi?
Spesso si ritiene che tutti gli indumenti che selezioniamo e in un secondo momento affidiamo ai cassonetti gialli Humana, vengano immediatamente distribuiti alle persone più bisognose, ma purtroppo, non è esattamente così.
Innanzitutto, bisogna specificare che questi ultimi, non hanno niente a che vedere con la beneficenza (gestita da altre enti, e soprattutto regolata da leggi ben precise).
Si tratta infatti di indumenti che per legge divengono rifiuti una volta inseriti nei cassonetti e che i Comuni affidano poi con un bando, ad imprese che in un secondo momento, li rivendono sul mercato, generando di conseguenza utili e nuovi posti di lavoro.
Tuttavia, sempre per legge, è allo stesso modo strettamente necessario che questo tipo di iniziativa rispetti varie fasi, quali ad esempio quella dello stoccaggio, dell’igienizzazione e della selezione.
Però, nel nostro Paese, il problema di fondo si rivela essere in realtà un altro.
Al vertice della gestione e distribuzione di questi indumenti, pare viga un terreno poco trasparente.
Non vi sono esclusivamente delle microimprese o degli enti specifici. Accade non di rado infatti che, alle spalle di questo processo, vi siano vari traffici illecite sotto il controllo della mafia.
I comuni, che avrebbero l’incarico di assegnare questo servizio di raccolta e distribuzione, dovrebbero a questo punto tenere più gli occhi aperti, ed assicurare un maggiore controllo in modo tale che che all’interno di tale filiera, non entri alcun tipo di criminalità o spaccio.
Certamente, se alla base di tale istituzioni non vi sono decreti specifici che escludono ogni tipo di pratica di contrabbando, il rischio di incappare in situazioni di questo genere è decisamente alto.
Pertanto, risultano strettamente necessari dei provvedimenti relativi alla trasparenza e alla legalità di operazioni di questo genere.
Innanzitutto, dovrebbe esservi un’iniziativa da parte dei cittadini stessi che, prima di effettuare qualunque genere di donazione, dovrebbero informarsi attentamente sulle modalità secondo cui avviene il processo (che per sua natura, dovrebbe essere limpido e manifesto), in modo tale da riuscire a portare a capo un’iniziativa di per sé estremamente proficua.
In secondo luogo, il decreto alla base del tutto, dovrebbe essere decisamente più “rigido” e chiaro, al fine di tutelare il servizio di raccolta degli indumenti usati.
Solo così, probabilmente questi cassonetti, costituiranno finalmente uno strumento ottimale per un’azione beneficiaria.
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